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MONACO: UN FILO DI SPERANZA TRA LE MACERIE

Damiano Michieletto e Daniele Rustioni artefici di un'Aida memorabile alla Bayerische Staatsoper

“Di polvere e di sogni. Di questo siamo fatti. La guerra, il potere, la fama, la gloria sono solo stanche sirene, incapaci di irretire col loro canto per più di qualche breve stagione. Poi, tutto passa, tutto scorre in un processo di distruzione e di creazione eterno, crudele, imperturbabile, come crudele e imperturbabile è l’eterno gioco del mondo. In questo ingranaggio, l’uomo da sempre tenta di sottrarsi ai disegni del Fato e osa cambiarne il disegno. È la sua natura, è il suo modo per dirsi vivo. Ma, vista dall’esterno, la Natura, quella sovrana, è ben altro. Al Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera – gran teatro di tradizione in cui la musica è consuetudine che riempie puntualmente la sala con un pubblico trasversale a età e a censo – la lezione di Damiano Michieletto nell’Aida che lo scorso 30 luglio ha abbassato il sipario, in assoluta adesione con la buca magnificamente guidata da Daniele Rustioni, era una meditazione sul senso profondo delle umane sorti, nello sguardo che sottraeva Verdi ai tradizionali bozzettismi faraoneggianti tutti palme, arcani geroglifici, occhi bistrati e costumi sgargianti per proiettarlo oltre lo spazio, oltre la storia: là dove l’uomo offende l’uomo nel suo seme più innocente e, al tempo stesso, tra sgomento e sorpresa, scopre nel nemico non l’altro da sé ma il fratello.

…In buca, alla testa di uno strumento di straordinaria duttilità e morbidezza, la bacchetta di Rustioni, in perfetto allineamento con la regia, lasciava affiorare dal damasco del Preludio verdiano il filo, sottile, di speranza che Michieletto insinuava tra le macerie. Archi come alito leggero, fiati vaporosi, ottoni e percussioni strepitosi a rendere una speranza ancor più incrollabile in quanto aggrappata al deserto in cui ha visto la luce. L’amore è l’unica forza in grado di scompigliare le carte e di riscrivere la storia; l’amore conduce fuori da sentieri già tracciati e consente di vedere in una schiava l’amata e l’amato nel proprio carceriere.

…Perché il primo territorio conteso è il cuore. Lì infuriano le battaglie più crudeli. Anche in buca, la consueta tronfia magniloquenza del quadro [Gran Finale Secondo] scorreva via agile, sliricata, come a dire che il baricentro di questa vicenda è altro, è altrove. In primis, nella solidarietà tra disperati che solo le donne sanno ordire, con mense improvvisate e canti propiziatori agli dei, resi con accorata semplicità, propria di chi si affida al mistero della fede. E, certo, nella capacità che solo l’amore ha di immaginare spazi alternativi, di uscire dalla cornice, ritagliando anche in uno scenario di guerra lo spiraglio per una riconciliazione. L’ultima scena, emblematica, riscriveva la storia, con i due amanti non morti ma danzanti, in un’onirica festa all’ombra della nera piramide, con Aida nell’abito da sposa recuperato dalla madre, recuperato da un cunicolo sotto alla piramide. “…una storia non dura che nella cenere/ e persistenza è solo l’estinzione”, canta Montale. Per Michieletto, tra l’uno e l’altro capo di questi assoluti, tra persistenza ed estinzione, si fa largo l’esistenza. Applausi meritatissimi.”

OperaTeatro, Elide Bergamaschi

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